La struttura cerebrale del sonno Rem potrebbe essere paragonata al Safe Mode dei computer: una unità minima di risorse che consente di far funzionare la macchina. Cosa significa Safe Mode dell’anima? Proviamo a riproporre la questione in altri termini: di quanto cervello abbiamo bisogno per potere accendere la coscienza?
Siamo al livello della core consciousness di Damasio, per certi aspetti identificabile con la coscienza più antica, rettiliana. Probabilmente questa radice non può rimanere inattiva per periodi di tempo troppo lunghi e pertanto anche durante il sonno deve essere periodicamente “accesa” al fine di evitare danni al sistema.
L’accensione ritmica di questo fuoco notturno, la fase Rem del sonno, non è però priva di conseguenze: questa attività nucleare va infatti a disturbare la tigre dormiente nella sua tana limbica, ossia il nostro deposito delle paure più ancestrali e degli istinti aggressivi: un focolaio che viene costantemente controllato e spento dalla vigilanza delle cortecce prefrontali e orbitali, che nel sonno sono disattivate.
Lo scenario evocato è uno scenario di estrema minaccia: il sistema vive uno stato di aggressione pari a quello di un animale attaccato da un predatore, da cui non è più in grado di difendersi. E curiosamente avviene nel sonno Rem la stessa reazione di freezing o di anticipazione della morte che riscontriamo negli animali, per cui l’animale aggredito, si paralizza e sembra offrirsi passivamente come un martire nelle mani del carnefice. Ovviamente non trattasi di vocazione al martirio, ma (probabilmente) di un riflesso estremo e disperato di difesa, in considerazione del fatto che solitamente i predatori non sono attratti da animali morti, ma i loro istinti di caccia reagiscono al movimento e vengono eccitati dal movimento.
Nel sonno Rem, nel quale vengono evocate spaventose paure, troviamo una identica paralisi delle membra: il corpo è inerte, come morto, e perciò in balia di un predatore virtuale, la cui minacciosa figura riesce ad emergere negli incubi, quando sogniamo di essere inseguiti da un assassino, mentre le nostre gambe non riescono a muoversi consentendoci di fuggire e le nostre braccia, immobili, non possono offrire ripari per difenderci.
E’ in questo quadro di estrema disperazione, il quadro della morte, che il cervello si pone il problema della “salvezza dell’anima” – ossia di salvaguardare quell’unità sintetica minimale, il seme della coscienza, con la sua corona di risorse atte farla funzionare, in particolare quelle visive, visto che la coscienza è soprattutto figlia della luce e del visibile. Questo viaggio della coscienza che porta in salvo il seme dell’Io è appunto il sogno.
Il sogno è dunque sempre un viaggio, il racconto di una fuga davanti alla morte. Il cervello cerca di portare in salvo l’anima, salvandola dalle fiamme limbiche, così come Enea fugge dalla città di Troia in fiamme portando il vecchio padre Anchise sulle spalle. L’Io viene preso e portato via, trasferito in uno scenario virtuale in grado di preservarne l’integrità.
Lo stesso tipo di reazione può essere identificata nelle esperienze OBE – Out of Body Experiences – che troviamo in mistici e profeti che affermano di avere visitato il Paradiso (come Elia e Maometto) o di essere stati rapiti dagli alieni. In questi casi è assai probabile che l’Io venga “portato in salvo” in un altro mondo per preservarne le strutture dai possibili danni provocati da lesioni profonde causate dalle epilessie lobotemporali. Lo stesso dicasi per le esperienze NDE – Near Death Exeriences – narrate da pazienti rianimati dopo un arresto cardiaco: il viaggio dentro un tunnel luminoso, un senso di beatitudine, l’impressione di vedere il proprio “corpo morto” dall’esterno ecc.
Ciò che è importante rilevare, dallo studio di queste esperienze soggettive, è che esse sono inserite in un quadro di intrusione di uno stato onirico tipo Rem (cfr. ad es. K. R. Nelson e al. Does the arousal system contribute to near death experience? in Neurology 2006, 66). E’ sempre la “coscienza nucleare”, la coscienza in modalità Safe Mode ad essere evocata nel momento in cui la vita sembra soccombere – la salvezza naturale dell’anima.